In Difesa Di democrazia. Verso la manifestazione nazionale a Roma, il 25 settembre

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NO AL DDL SICUREZZA 1660

Una norma che viola i diritti umani fondamentali utilizzando strumenti repressivi.

La rete In Difesa Di, al fianco di chi difende i diritti umani ed ambientali nel mondo, esprime la propria contrarietà al DDL 1660

Una società sana deve poter esprimersi anche attraverso forme di dissenso e di pacifica protesta e in particolare di chi, come gli ambientaliste ed ambientalisti, lotta per la giustizia climatica e quindi sociale nel mondo

 

Il disegno di legge 1660, approvato il 18 settembre alla Camera dei Deputati, si colloca nel solco del panpenalismo repressivo che connota da molti anni la risposta delle istituzioni alla protesta, al dissenso e al disagio.

Questa tendenza ha caratterizzato i governi e le maggioranze parlamentari che si sono succedute almeno a far data dal 2001, con la ricorrente adozione di “pacchetti sicurezza” che hanno introdotto nuovi reati e aggravanti – o nuovi sistemi sanzionatori parapenali, come il DASPO – e  aumento delle pene per quelli già previsti (nel marzo 2001 era Presidente del Consiglio Giuliano Amato e Ministro dell’Interno Enzo Bianco, ma altri “pacchetti” sono ricordati per i nomi dei Ministri dell’epoca, da Maroni a Veltroni, da Minniti a Salvini).

Il DDL 1660 si caratterizza, però, per un notevole “salto di qualità” nella stretta repressiva e nella costruzione di quello che potremmo definire un vero e proprio “diritto penale (e non solo) del nemico”, ed anche nel ridisegnare alcuni istituti mutandone profondamente la natura. 

Così vi sono norme che innalzano le pene per il reato di occupazione introducendo anche nuove ipotesi di reato (sarà punito penalmente anche il non lasciare l’immobile locato dopo una procedura di sfratto), che consentono l’incarcerazione anche delle donne in gravidanza e delle donne con neonato (in disposizioni che è stata significativamente battezzata “norma anti donne rom”), che introducono il reato di detenzione di materiale con finalità di terrorismo (per cui sarà reato il semplice possesso di materiale, al di là del concreto pericolo che il soggetto intenda porre in essere attività terrorista, così anticipando la soglia di punibilità sino al limite della sfera esclusivamente privata della persona), che introducono nuove ipotesi di Daspo disposto dal questore o di cd. Daspo giudiziario (imponendo per chi sia condannato per alcuni reati il divieto di accedere a determinati luoghi e subordinando la concessione della sospensione condizionale della pena al rispetto di tale divieto),  che sanciscono l’obbligo per i cittadini stranieri di esibire il permesso di soggiorno per poter attivare una utenza mobile (norma finalizzata ad impedire alle persone migranti irregolari di poter avere un telefono cellulare, facendo loro intorno “terra bruciata”),  che aumentano le possibilità di revoca della cittadinanza italiana acquisita dal cittadino straniero, che aumentano le pene per il reato di accattonaggio. 

A queste norme se ne aggiungono alcune che intendono reprimere duramente le proteste e ridurre gli spazi di possibile espressione di dissenso, colpendo anche (e in alcuni casi specificamente) i movimenti ambientalisti, e altre che tendono a demolire anni di conquiste democratiche (nelle istituzioni totali e nei rapporti tra autorità e cittadini), tentando di fatto di far “tornare indietro le lancette della storia” di ottant’anni.    

A quest’ultimo proposito non si può non far riferimento al “nuovo” reato di rivolta carceraria e nei CPR (ma anche negli hot spot e nei centri di accoglienza per persone migranti, quindi non solo in luoghi di detenzione e di privazione della libertà ), con il quale si vuole punire (con pene che vanno, a seconda delle ipotesi, da un minimo di uno a un massimo di venti anni) non solo le rivolte (non meglio definite) violente, ma anche gli atti di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti che impediscano il compimento degli atti di ufficio o servizio: si disegna un “nuovo” modello di detenuto (ma non solo, anche di migrante accolto in un centro) del tutto spersonalizzato, privato anche del diritto di utilizzare metodi non violenti e pacifici di contestazione e dal quale si pretende obbedienza “cieca e assoluta” agli ordini.

La persona detenuta e la persona migrante (trattenuta o accolta) devono essere dei docili oggetti di controllo, pena la perpetuazione della loro condizione di persone private della libertà personale (il reato di rivolta carceraria verrebbe anche ricompreso tra i cd reati ostativi alle misure alternative al carcere). Questa “prima volta” nella repressione della resistenza passiva rischia di divenire un precedente che permetterà, in futuro, di punire ogni forma di disobbedienza a qualunque ordine ed in qualunque ambito (così come il Daspo, nato negli stadi per reprimere gli ultras, è stato poi esteso   agli ambiti urbani ed è oggi uno strumento di repressione amministrativa – la cui violazione peraltro fa cadere l’interessato nel sistema penale – buono per tutte le forme di disagio e/o di dissenso).

Un altro palese esempio di questa involuzione è la volontà (non nascosta) di ridisegnare i rapporti tra le forze di “pubblica sicurezza” e le persone che sono loro sottoposte, allontanandosi da quella  che la Corte Costituzionale ha definito una “diversa disciplina dei rapporti tra cittadino e autorità rispettivamente negli ordinamenti liberal-democratici e nei regimi totalitari” che aveva caratterizzato la produzione normativa repubblicana post fascista (la Corte aveva usato quella definizione a proposito della discriminante della reazione  agli atti arbitrari del pubblico ufficiale, per cui non è punibile il cittadino che reagisca, anche con violenza, ad un atto illegittimo ed arbitrario del pubblico ufficiale).

Nel senso di consolidare una supremazia anche formale degli apparati di pubblica sicurezza rispetto al popolo vanno: l’introduzione di una circostanza aggravante per i reati di violenza e resistenza a pubblico ufficiale quando i fatti sono commessi ai danni di un agente o ufficiale di pubblica sicurezza (così potrà essere punita molto più gravemente la resistenza a un agente di polizia che non quella a un impiegato comunale, a un medico di ospedale, anche a un giudice); la previsione di un aumento di pena per il reato di lesioni se cagionate a un agente di pubblica sicurezza (anche in questo caso, quindi, si sancisce la “supremazia” della vittima-agente su ogni altra vittima); la previsione che gli agenti di pubblica sicurezza possano portare senza licenza armi anche fuori dal servizio; la copertura delle spese per un legale di fiducia (sino a 10.000 euro per ogni grado di giudizio) per gli agenti di pubblica sicurezza (nonché vigili del fuoco e militari) indagati o imputati per fatti inerenti il servizio (salva, invero, possibile rivalsa se infine condannati a titolo doloso; non ci sarebbe rivalsa, ad esempio, in caso di omicidio colposo di un arrestato). Le forze di pubblica sicurezza, dunque, sono collocate normativamente (potrebbe dirsi ideologicamente) in una posizione di supremazia su tutta la popolazione e di preminenza anche all’interno dell’apparato dello Stato.

Il Disegno di legge contiene, poi, una lunga serie di disposizioni specificamente destinate a reprimere il dissenso, spesso palesemente disegnate su uno “specifico” soggetto ritenuto, evidentemente, da reprimere in modo particolare: una vera e propria costruzione di un diritto sanzionatorio speciale d’autore (in cui la gravità del reato, e talvolta la stessa sussistenza di un reato, dipendono non tanto dal “fatto” che è stato commesso quanto dal “tipo d’autore” che lo ha commesso). 

Già con il decreto cd ecovandali, peraltro, questa legislatura ci aveva abituato alla costruzione di reati sugli attivisti ambientalisti e sulle loro modalità di protesta (si pensi alla circostanza aggravante prevista per il reato di imbrattamento se commesso su “teche, custodie e altre strutture adibite all’esposizione, protezione e conservazione di beni culturali esposti in musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico”; è evidente che si è voluto specificamente colpire determinate proteste e determinati attivisti). 

Tra le disposizioni specificamente dirette alla repressione del dissenso (e degli attivisti ambientali in primis) spicca la circostanza aggravante (e dunque la previsione che la pena sia aumentata, con un massimo che può raggiungere i 20 anni) per i reati di resistenza e violenza a pubblico ufficiale (ma anche ad altri reati, come le minacce) nel caso in cui il fatto “è commesso al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica”. Qui è chiarissima la volontà di colpire più duramente i movimenti che si battono contro le grandi opere (come il movimento No Tav, il movimento No Tap, il movimento No Ponte, per citarne solo alcuni).

Ancora, un aggravio di pena viene introdotto per i danneggiamenti commessi in occasione di manifestazioni (ipotesi che era già stata introdotta nel 2019) se commessi con violenza o minaccia (anche qui evidente è che questa norma è finalizzata a reprimere il dissenso ed il conflitto, essendo sufficiente che il danneggiamento sia accompagnato da una semplice condotta minacciosa). 

Così come una circostanza aggravante (con conseguente aggravio di pena) è previsto per il reato di imbrattamento se commesso su beni adibiti all’esercizio di funzioni pubbliche con la finalità di ledere l’onore, il prestigio o il decoro dell’istituzione (vengono alla mente alcune proteste simboliche, come il collocamento di mucchi di letame presso sedi istituzionali).

Le disposizioni del DDL 1660 attualmente in discussione, dunque, paiono voler disegnare un nuovo assetto nei rapporti tra il potere esecutivo (la cui espressione ultima sono proprio le forze di pubblica sicurezza) e la popolazione, e colpire ogni forma di dissenso, riducendo il cittadino (vogliamo utilizzare questo termine in senso atecnico, non come cittadino italiano ma come persona    che è sottoposta a quel potere sovrano) ad un docile oggetto di controllo, in una società che si vorrebbe plebiscitaria. Chi si ribella (oggi in particolar modo nelle carceri o nei CPR, ma con un modello che potrà essere esteso a chiunque), chi anche solo protesta (magari rivendicando il diritto ad un ambiente salubre e in ultima analisi ad un futuro) è un soggetto estraneo al modello di società che deve essere punito.

E’ un modello di società estremamente pericoloso ed estraneo ai principi costituzionali; ecco perché la rete In Difesa Di, che dal 2016 raccoglie ed organizza enti ed associazioni impegnate in Italia e nel mondo per la difesa delle persone difensore dei diritti umani ed ambientali, ritiene che se il disegno di legge sarà definitivamente  approvato, molte delle sue norme saranno poi, probabilmente, dichiarate incostituzionali; ma avranno nel frattempo fatto germogliare nella società le male piante politiche e culturali che le nutrono (oltre ad aver colpito le persone che ne saranno nel frattempo state vittime). 

Comunicato congiunto della rete In Difesa Di

​con Ultima Generazione, Extinction Rebellion, Legal
Team Italia, Osservatorio ​Repressione, Giuristi Democratici

Roma, 24 settembre 2024