Per la Madre Terra, la giustizia sociale, ambientale e climatica
DALLA PREFAZIONE
Questo rapporto è il risultato di un lavoro collettivo coordinato dalla Rete In Difesa di e da Osservatorio Repressione. È il prodotto di un gruppo di lavoro informale promosso dalla Rete all’indomani della visita accademica di Michel Forst, Relatore Speciale delle Nazioni Unite per i difensori dell’ambiente nell’ambito della Convenzione di Aarhus Michel Forst in Italia nell’aprile dello scorso anno.
Da allora, legali, avvocati di movimenti quali No TAP e No TAV, rappresentanti di organizzazioni tra le quali Greenpeace Italia, Amnesty International Italia, Associazione Yaku, A Sud, Extinction Rebellion, Fridays for Future, Ultima Generazione, Osservatorio Repressione, Per il Clima fuori dal Fossile, Controsservatorio Valsusa, Legal Team Italia, CASE Italia Osservatorio dei Balcani Transeuropa, si sono incontrati periodicamente per scambiare esperienze e pratiche di supporto legale ad attivisti ed attiviste per l’ambiente e la giustizia climatica. Nel corso degli incontri sono state confermate le preoccupazioni già espresse dalle varie organizzazioni e dalla comunità internazionale riguardo leggi, provvedimenti e processi contro attivisti ed attiviste che praticano la disobbedienza civile e l’azione diretta nonviolenta, spesso etichettati come criminali, eco-vandali o nemici dell’ordine pubblico. La torsione repressiva vissuta da queste realtà in Italia è il riflesso di un fenomeno che da tempo persiste e si aggrava a livello internazionale e negli ultimi anni in Europa, in modo particolare. Nel caso dell’Italia, disposizioni normative adottate ad-hoc per contrastare, reprimere o dissuadere associazioni e movimenti dal praticare il loro legittimo diritto a difendere l’ambiente ed il clima, risultano in gravi restrizioni – se non violazioni – degli impegni internazionali riguardo il rispetto delle libertà civili, di espressione, associazione, manifestazione e la tutela ed il rispetto dell’operato di chi difende dei difensori dei i diritti umani e dell’ambiente. Negli ultimi mesi, infatti, il paese ha vissuto un’impennata di azioni legali e amministrative contro individui e gruppi che si sono spesi per la giustizia climatica, inclusi arresti, multe e misure preventive – come fogli di via e DASPO. Tutto ciò stride con l’urgenza dimostrata dai fatti e dall’aggravarsi dell’emergenza climatica che sottende una più ampia crisi di sistema, nella quale l’avanzamento della frontiera estrattiva fossile, il degrado progressivo degli indicatori di salute del pianeta, l’aumento delle diseguaglianze sociali, va di pari passo con la restrizione progressiva degli spazi di agibilità civica, di protesta e di mobilitazione. I dati parlano chiaro. Senza una netta e radicale inversione di tendenza il Pianeta e l’umanità tutta soffriranno sempre più le conseguenze della crescita delle temperature su scala globale. Nonostante l’evidenza scientifica, però, gli impegni presi dagli stati risultano inefficaci, limitati se non contraddittori e dannosi.
Secondo recenti stime piuttosto che diminuire l’estrazione di combustibili fossili aumenterà entro il 2030 rendendo così impossibile il perseguimento degli obiettivi di contenimento dell’aumento della temperatura globale sottoscritti nella conferenza delle Nazioni Unite ONU sul clima di Parigi nel 2015. In questo contesto, l’operato di chi si impegna per mobilitare l’opinione pubblica, denunciare ritardi ed incongruenze del paese nelle azioni di mitigazione e adattamento e compensazione degli effetti dei cambiamenti climatici risulta di importanza vitale come anche riconosciuto in vari consessi internazionali. Inoltre, va ribadito come l’Italia sia tenuta a rispettare e tutelare le attività di chi difende i diritti umani anche al suo interno. E difensori dei diritti umani, secondo la definizione contenuta nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani (che lo scorso anno ha celebrato il suo 25esimo anniversario), sono coloro che, a titolo individuale o collettivo, si impegnano per il rispetto dei diritti dell’ambiente attraverso pratiche nonviolente. Pertanto, oggi gli attivisti e le attiviste, spesso descritti dai media, da taluna stampa e dai decisori politici come eco-vandali o ecoterroristi (addirittura è stato approvato un disegno di legge ad hoc che inasprisce le pene pecuniarie e di detenzione per attivisti ed attiviste che svolgono azioni dirette nonviolente in musei, o monumenti), stanno operando assolutamente in linea con gli standard internazionalmente riconosciuti riguardo la tutela e promozione dei diritti umani.
Giova ricordare, al riguardo, come i procedimenti giudiziari intrapresi verso chi esercita il proprio diritto a manifestare trovano sempre il loro input in segnalazioni degli organismi di polizia, e sembrano rispondere più a direttive e decisioni di carattere squisitamente politico che a necessità di tutela dell’ordine pubblico o di repressione dei reati. Prova ne è che, se in molti casi le procure e poi i giudicanti hanno acriticamente fatto proprie le ricostruzioni degli organi di polizia, in molti altri, in specie a fronte di condotte non violente e/o di ipotesi di reato piuttosto “fantasiose”, le accuse sono cadute in dibattimento (se non già davanti al P.M., con richiesta di archiviazione). La gran mole di precedimenti aperti e lo spropositato numero di persone sotto indagine (insieme all’introduzione di reati e di circostanze aggravanti specificamente modellati sulle proteste ambientaliste e ai reiterati aumenti delle pene previste per blocco stradale, da ultimo anche nella bozza del “Decreto Sicurezza” al vaglio del Parlamento) hanno comunque prodotto, indipendentemente dall’esito dei procedimenti, quello che viene definito chilling effect ossia un disincentivo ad agire. Ulteriormente aggravato da sanzioni pecuniarie spropositate che di fatto, assieme alle alte spese legali, mirano ad azzoppare la capacità di iniziativa delle associazioni e movimenti, 9 di fatto pregiudicando il diritto alla libertà associazione. Nel corso del nostro lavoro di analisi e elaborazione collettiva abbiamo potuto trovare ulteriore conferma del fatto che sotto un profilo strettamente giuridico, negli ultimi anni si sia in primo luogo assistito a un irrigidimento della normativa sanzionatoria, con l’innalzamento delle pene e l’introduzione di nuove fattispecie penali e/o di circostanze aggravanti che introducono trattamenti sanzionatori irragionevoli rispetto alle condotte concretamente tenute.
Queste modifiche hanno, di fatto, costruito un diritto penale speciale per gli attivisti, e per gli attivisti ambientali in particolare, che contrasta sia con il principio di generalità ed astrattezza delle norme penali sia con i principi in materia di libertà di manifestazione del pensiero e di diritto di protesta sancite dalla Costituzione e dal diritto internazionale. Le conclusioni del nostro lavoro di indagine e ricerca sono chiare: l’Italia, il governo, il Parlamento attraverso le loro iniziative, le narrazioni, le leggi mirate a contrastare, delegittimare, criminalizzare, denigrare chi protegge la Madre Terra e il clima violano o pregiudicano sistematicamente gli impegni presi a livello internazionale per quanto concerne i diritti umani, la difesa dei diritti umani e dell’ambiente, il diritto alla libertà di espressione e di associazionedi
QUI IL LINK DEL DOSSIER http://www.indifesadi.org/wp-content/uploads/2024/07/DIRITTO_NON_CRIMINE.pdf