Difendono i boschi, l’acqua, l’aria, la terra. Lottano in maniera pacifica contro le grandi multinazionali che invadono il loro territorio con miniere, maxi-impianti idroelettrici o colture intensive. Documentano e denunciano le ingiustizie, l’avvelenamento dei fiumi e delle falde acquifere, l’accaparramento illecito delle terre, i soprusi commessi dalle imprese che sfruttano la risorse naturali dei loro territori. I difensori e le difensore dell’ambiente sono contadini e contadine, comunità indigene, attivisti e attiviste che – in maniera pacifica – si battono per proteggere la natura, per difendere il diritto a vivere in un ambiente non inquinato e per un modello di sviluppo sostenibile.
Il prezzo da pagare è alto: proteggere la Madre Terra significa vivere costantemente sotto minaccia, essere attaccati e perseguitati, e rischiare la vita. Secondo il rapporto di Front Line Defenders, nel 2017 sono stati uccisi almeno 312 difensori e difensore dei diritti umani: di questi il 67 % si dedicava alla protezione dell’ambiente e dei diritti dei popoli indigeni.
Nel report
“They spoke truth to power and were murdered in cold blood” presentato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2016, il Relatore Speciale ONU per i Difensori/e dei Diritti Umani Michel Forst scrive: “Man mano che la domanda globale di risorse naturale cresce, l’ambiente sta diventando la nuova linea di fronte per i diritti umani e per il nostro futuro. In molti Paesi del mondo, gli attivisti e le comunità stanno facendo sentire le proprie voci per proteggere l’ambiente e promuovere modelli economici alternativi di sviluppo sostenibile, per non distruggere il pianeta. Per molti, questi attivisti sono dei veri e propri eroi, che difendono la nostra Terra e i nostri diritti. Non sono solo difensori e difensore dell’ambiente e della terra, sono difensori e difensore dei diritti umani. Ma i loro oppositori li demonizzano, definendoli anti-patriottici e accusandoli di essere contrari allo sviluppo”.
La difesa dell’ambiente è strettamente collegata a quella dei diritti dei popoli indigeni: come ha affermato il Relatore Speciale sui diritti umani e l’ambiente John Knox, “la difesa dei diritti umani aiuta a proteggere l’ambiente, e un ambiente sano e protetta aiuta a salvaguardare i diritti umani.” Questo è particolarmente vero per i popoli indigeni: la loro sussistenza, cultura e identità sono inestricabilmente legate all’ambiente in cui vivono, e per loro corsi d’acqua, montagne e foreste hanno spesso un alto valore simbolico.
Le comunità indigene sono le più colpite dalla costruzione di mega-progetti: proprio per questo sono in prima linea nella difesa dell’ambiente e sono particolarmente a rischio. Nel 2017 si stima siano stati uccisi oltre cento attivisti indigeni e moltissimi altri sono stati minacciati e aggrediti. Inoltre, le comunità indigene vengono spesso criminalizzate e stigmatizzate, e accusate di essere ribelli, nemiche dello Stato, e contrarie allo sviluppo economico. Invece di valorizzare il fondamentale ruolo svolto dalle comunità indigene, imprese private e autorità fanno di tutto per spegnere la loro voce.
Uno dei più recenti esempi di criminalizzazione è quello che ha colpito la Relatrice Speciale dell’ONU sui diritti dei popoli indigeni, Vicky Tauli-Corpuz. Il governo delle Filippine ha presentato una petizione in tribunale per includere il nome della Relatrice Speciale e altri leader indigeni in una
lista nera di presunti terroristi. L’accusa è ovviamente infondata, e serve solo a screditare il prezioso lavoro di Vicky Tauli-Corpuz.
Esiste un filo rosso che lega i nostri modelli di consumo e di sviluppo, fondati sull’estrazione crescente di risorse e valore dalla terra, e l’aggressione continua ai difensori/e dell’ambiente. La criminalizzazione dei movimenti per la difesa della terra e dell’ambiente è ormai un fenomeno diffuso a macchia d’olio in ogni parte del pianeta. Un’emergenza che dev’essere affrontata al più presto, e in ogni occasione. A fronte della mancanza di determinazione e volontà politica della comunità internazionale di aggredire alla base le cause del cambiamento climatico (in primis la dipendenza da combustibili fossili) una delle possibili vie d’uscita sarà quella di rafforzare le mobilitazioni e vertenze dal basso. Bisogna riconoscere il ruolo centrale dei popoli indigeni nelle attività di adattamento e mitigazione: da secoli grazie alla loro conoscenza tradizionale riescono ad assicurare una gestione efficace delle risorse naturali. Attraverso le loro mobilitazioni e iniziative di resistenza all’invasione delle loro terre da parte delle imprese petrolifere e del fossile, contribuiscono a ridurre le emissioni di gas serra.
Anche in Europa e in Italia lo spazio di agibilità dei comitati e delle organizzazioni che lavorano per proteggere l’ambiente è sempre più ristretto. La definizione di cantieri di infrastrutture strategiche come zone rosse, la militarizzazione del territorio, l’equiparazione di chi si oppone alle grandi opere a nemico dell’interesse nazionale, l’uso strumentale della legge per accusare chi informa di diffamazione, la delegittimazione: queste sono le strategie più ricorrenti.
Come dice Alberto Saldamando, avvocato per i diritti dei popoli indigeni per l’Indigenous Environmental Network : “Dobbiamo sostenere le comunità in resistenza ovunque nel mondo. Gli indigeni non hanno il monopolio delle connessioni spirituali con la terra. Anche chi in Italia lotta per proteggere ulivi secolari lo fa perché quegli ulivi sono stati curati per generazioni, esiste una relazione intrinseca con l’ecosistema, chi li protegge ha acquisito una profonda conoscenza generazione per generazione del proprio ambiente. Per questo noi non consideriamo la vittoria o la sconfitta come una prospettiva possibile. Noi guardiamo alla lotta, alla lotta spirituale, ci rivolgiamo alla Terra ed ai nostri antenati, questa è la nostra forza, possono fare qualsiasi cosa, militarizzare la nostra terra, metterci in galera, ma non ci fermeranno”.
Per approfondire, leggi anche “La Terra è una: difendiamo chi lotta per proteggerla“, articolo a cura di Lorena Cotza per il portale Giustizia Ambientale.