La Colombia sta vivendo una tragica escalation di omicidi e attacchi ai difensori dei diritti umani, in una spirale allarmante che ha toccato il suo culmine con gli omicidi avvenuti nella regione dell’Urabá, gli attacchi diretti contro la Comunidad de Paz de San José de Apartadó e le minacce costanti contro i leader locali.
Con questo briefing, alcune organizzazioni della rete “In Difesa Di – Per i diritti umani e chi li difende” (tra cui Operazione Colomba e Yaku), si rivolgono al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, per esprimere la sua grande preoccupazione, nella certezza che anche l’Italia – sulla scorta delle iniziative in cantiere sui difensori dei diritti umani nel contesto della presidenza italiana OSCE 2018 – possa agire per promuovere la sicurezza e protezione degli attivisti minacciati, delle famiglie dei leader uccisi e delle comunità locali.
Con altri Paesi dell’America Latina come Brasile e Messico, la Colombia oggi è uno dei Paesi con il maggior numero di omicidi di difensori dei diritti umani nel mondo, come riscontrato dai rapporti più recenti di
Amnesty International e
Front Line Defenders. Secondo Front Line Defenders, nel 2017 dei 313 Difensori e Difensore uccisi nel mondo, ben 212 erano latinoamericani, e di questi 92 sono stati uccisi in Colombia. Pertanto la Colombia rappresenta un importante banco di prova per quei Paesi, quali l’Italia, che hanno manifestato interesse e volontà di impegnarsi maggiormente nella tutela dei difensori dei diritti umani, a maggior ragione quest’anno, nel quale ricorre il 20esimo anniversario della Dichiarazione ONU sui Difensori dei Diritti Umani.
Una lunga scia di sangue e impunità
Il 26 novembre 2017 è stato ucciso il difensore della terra e del territorio Mario Castaño Bravo, membro del consiglio comunitario di La Larga Tumaradó (Urabá) e della rete Comunità Costruendo Pace nel Territorio (Conpaz). Mario Castaño Bravo è stato per anni un referente dei processi di restituzione delle terre usurpate nel Curbaradó e La Larga Tumaradó, e ha inoltre contribuito in maniera rilevante alla creazione della Zona di Biodiversità “Árbol del Pan” in Tumaradó, accompagnata dalla Comisión Intereclesial de Justicia y Paz (Cijp).
Denunciava dal 2013 il ruolo degli imprenditori nell’occupazione illegale del territorio ed il controllo territoriale e sociale delle Autodifese Gaitaniste di Colombia (AGC), gruppo neoparamilitare, evidenziando i nessi di queste organizzazioni criminali con settori delle forze militari e di istituzioni politiche locali e l’omissione dello Stato (in particolare della Fiscalía) rispetto alla responsabilità di investigare, chiarire e sanzionare i responsabili dei delitti che vengono commessi nella regione.
A pochi giorni di distanza, l’8 dicembre, nel territorio collettivo di Pedeguita e Mancilla (Riosucio), è stato ucciso Hernán Bedoya, leader comunitario anch’egli membro di Conpaz che era stato oggetto di minacce di morte da parte delle AGC fin dal 2015. Durante il 2017, Hernán si era ripetutamente e pubblicamente opposto al mega progetto di coltivazione di banane per l’esportazione e di palma africana imposto nella sua zona, denunciando l’impatto ambientale e sociale che questo progetto comporta.
Ormai da mesi, diverse organizzazioni nazionali e internazionali denunciano il controllo territoriale che esercitano le AGC nella regione di Bajo Atrato, tramite minacce di morte, controllo delle vie del narcotraffico nella regione, incursioni nelle Zone Umanitarie, offerte di pagamento per reclutare giovani per la loro struttura e la creazione di una rete di informanti. La Defensoría del Pueblo ha lanciato l’allarme più volte sulla situazione nei territori di Cacarica, Jiguamiandó, Truandó, Salaquí e Riosucio, affermando che c’è stato un incremento del controllo territoriale dei gruppi armati illegali nella regione, in particolare di AGC e dell’ Esercito di Liberazione Nazionale (ELN), dopo l’uscita della guerriglia delle FARC-EP dal territorio e l’assenza dello Stato colombiano. Allo stesso modo, sono stati denunciati scontri armati fra la AGC e l’ELN nel Jiguamiandó, vicino a La Larga Tumaradó e Curbaradó, e la presenza di mine antiuomo. Ricordiamo che da mesi la Corte Costituzionale colombiana (Corte Constitucional: Auto 504, 25 settembre 2017) aveva allertato sui principali rischi che gravano sui processi di riparazione e restituzione delle terre nel Bajo Atrato, contro leader comunitari, autorità etniche e i processi del ritorno, fra le altre cose. Nel suo informe, la Misión Bajo Atrato dell’Espacio de Cooperación para la Paz ha sottolineato l’assenza di garanzie per la sicurezza delle persone che difendono i diritti umani e le comunità rurali, nonostante questa sia una condizione necessaria per la costruzione di pace e convivenza.
In questo contesto, vorremmo sottolineare la situazione di rischio dei membri della
Comisión Intereclesial de Justicia y Paz (Cijp), evidenziata nelle numerose denunce di chiamate intimidatorie, vigilanza e pedinamenti.
Drammatico è anche il caso della Comunidad de Paz de San José de Apartadó (nella regione di Antioquia), protetta dalle misure cautelari e provvisorie della Corte Interamericana per i Diritti Umani (CIDH), che da mesi denuncia pressioni e minacce da parte di gruppi neoparamilitari ascrivibili alle AGC e la mancanza di un intervento reale e concreto da parte dello Stato colombiano per smantellare questi gruppi, come previsto dagli Accordi di Pace (Punto 3.4). Gravissimo è stato l’episodio del 29 dicembre 2017, quando 5 paramilitari – di cui tre armati – hanno fatto irruzione nella bottega del cacao della Comunità di Pace con l’intento di uccidere Germán Graciano Posso, rappresentante legale della CdP, e Roviro López, membro del Consiglio Interno. Solo il tempestivo intervento di altri membri della comunità ha permesso di evitare l’ennesima tragedia colombiana, il tutto alla presenza di due gruppi di accompagnanti internazionali che sono stati
testimoni diretti di quanto accaduto. Ad oggi Germán Graciano Posso e Gildardo Tuberquía, altro membro del Consiglio Interno che ha ricevuto almeno otto minacce di morte nel 2017, dopo avere pubblicamente denunciato le azioni delle AGC anche davanti al Congresso colombiano con il supporto di
documentazione foto e video, possono muoversi nella zona solo grazie all’accompagnamento internazionale. Dopo gli ultimi eventi si teme fortemente per tutti i membri della comunità in quanto i gruppi neo paramilitari considerano ormai tutta la Comunità di Pace, proprio per la sua attività di denuncia costante delle violazioni di cui è testimone e il suo impegno per la difesa dei diritti umani, un
ostacolo da eliminare.
Le nostre proposte al MAECI
- Vigilare affinché lo Stato Colombiano garantisca in maniera concreta e immediata la sicurezza delle comunità rurali del Bajo Atrato (Cacarica, Jiguamiandó, Truandó, Salaquí, Riosucio, fra gli altri) e delle famiglie dei due leader uccisi, e assicuri indagini rapide e imparziali di tutti i casi sopra menzionati, per arrivare ai responsabili materiali, intellettuali e alle strutture che stanno dietro questi omicidi;
- Vigilare affinché lo Stato Colombiano garantisca in maniera concreta ed immediata la sicurezza dei membri della Comunità di Pace di San Josè di Apartadò (compiendo con quanto previsto dai provvedimenti raccolti nelle Sentenze T-327 del 2004 e T-1025 di 2007 della Corte Costituzionale della Colombia e dell’Atto 034/12 di questa stessa istituzione); vigilare inoltre affinché vengano assicurate indagini rapide e imparziali sull’attacco avvenuto il 29 dicembre per arrivare ai responsabili materiali, intellettuali e alle strutture che hanno perpetrato questo tentato omicidio;
- Applicare in maniera rigorosa, con le altre rappresentanze diplomatiche UE, e Direttrici dell’UE in materia di Difensori di Diritti Umani. In particolare, partecipare in maniera nettamente più attiva agli spazi di dialogo con le comunità che reclamano le terre e i loro accompagnanti nazionali, sul tema dei meccanismi di attenzione, protezione e prevenzione, e considerare le loro richieste specifiche, affinché vengano definiti strumenti di protezione concertati ed efficaci. A questo proposito, la rete “In difesa di – Per i diritti umani e chi li difende”, richiede una maggior partecipazione dell’Ambasciata italiana alle azioni intraprese dal Gruppo di Diritti Umani della Delegazione UE in Colombia. Si chiede inoltre di emettere immediatamente dichiarazioni pubbliche di condanna delle aggressioni contro le difensori dei diritti umani, esigendo garanzie di non ripetizione;
- Appoggiare la richiesta inviata delle comunità afrocolombiane del Bajo Atrato per avere uno spazio di dialogo al Tavolo di negoziazione di Quito fra il Governo colombiano e l’ELN